Fortulla: grandi vini di taglio bolgherese, uno splendido schiaffo ai supertuscan moderni

Noi cresciuti – meglio dire viziati, ma non è colpa nostra – a pane e Tignanello, noi che un bel giorno, oltraggiati dall’ennesimo zaffo ciprioso che tradiva per sempre il trucco e parrucco non occasionale – di sistema – del supertoscano, decidevamo di ribellarci ai nostri idoli di gioventù, esalando l’ultimo gemito di sdegno dinnanzi alla tremenda constatazione dell’imbevibilità. Maledetti americani. Maledetti, però, anche i toscani che, senza pudore, quando non taroccano, svendono proprio a quelli che del tarocco e dello scempio sono maestri: non hanno il valore della storia, non l’archetipo, nei loro crani, del patrimonio legato al terroir. Bolgheri, mannaggia a te… quanto mi hai fatto soffrire. Toscana, a te cantavo “Non ti credo e perciò/ Stai lontana da me/ Non ti voglio perché/ Non ti voglio così/ Le strade sono piene di vini/ Uh, uguali a te/ S’è ormai chiusa per me/ Questa storia perché/ Io ritorno da chi/ Già sapeva che sarebbe finita/ Uh, certo così, haha/ Non ti voglio mai più”.

S’infischiava del mio celentanismo enorancoroso il mecenate Fulvio Martini che, acquistata la tenuta del Casale del Mare, vigneti con vista su Corsica ed Elba, cominciava a fare senza esitazione un supertoscano di Castiglioncello che, praticamente, è un Bolgheri. Raccontava di volerlo fare come aveva insegnato Mario Incisa, come lo facevano da quelle parti prima di iniziare a doparsi col Parker e a iniettarsi in botte vino pugliese da tavola sublimato in vitro, nel laboratorio in cui è custodito l’albero della conoscenza del Bene e del Male. Fulvio credeva, mica per spavalderia filosofica, credo io per semplice sottrazione/semplificazione (tipico del poliedrico sognatore, smanioso di fare tutte cose), negli alberelli della Vita, cresciuti su barbatelle piantate a mano. E allora, e dai e dai, siamo tornati tante volte in cantina – e in vigna – negli anni, a vegliare il percorso. Gli ettari sono pochi, la terra è buona e i vini sono sempre stati sinceri. Qui s’è dimostrato dotto anche D’Attoma, uno dei primi top player dell’enologia a ritrarsi elegantemente da certi trend multinazionalisti.

Anno dopo anno, Fortulla, quest’azienda agricola che usa solo energia pulita, che rigenera e ricicla le acque, che investe nella sostenibilità e custodisce policolture e specie animali rendendosi oasi naturale, ci sta restituendo quel taglio bordolese rustico, verace, da marchese contadino che trapelava da quei Sassicaia del Novantadue o dell’Ottantasette, così come dai primi Ornellaia, inebrianti, rudi, cuoiosi: prima che Bolgheri fosse invasa dai miliardari ignoranti. In questi giorni abbiamo aperto un Sorpasso Magnum 2010: naso di sottobosco, tartufo e funghi. Frutta nera, caffè. In bocca, sapido, acceso di macchia mediterranea, vagamente marino. Intatto, maturo ma energico, virile: un grande vino di taglio bolgherese, come un tuffo nel passato, come uno splendido schiaffo ai supertuscan moderni.

Luca Farinotti

fortulla, luca farinotti, sorpasso, supertuscans

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

© Luca Farinotti. All rights reserved.