Agali, il misterioso neologismo vigente nel lessico dei bevitori parmigiani

Agali

/à-ga-li/

interiezione

Espressione transgenerazionale propria dei nativi della città di Parma, utilizzata all’incirca a partire dalla fine degli anni Ottanta del XX Secolo e attinente all’ingerimento di una bevanda alcolica tutta d’un fiato.

In ragione della frequenza d’uso del lessema, ne deriva una copiosa fioritura di significati connessi all’atteggiamento emotivo con il quale viene pronunciato e la cui corretta decodificazione è prerogativa dei soli colloquianti appartenenti alla succitata enclave etnica.

Il fatto singolare è che ognuna delle sfumature legate alla modulazione verbale (nonché alla relativa postura corporea), secondo la selezione convenzionale dei parlanti, assume nel contesto valore inequivocabile.

Se declamata direttamente dal bevitore, l’interiezione, da cui la derivazione del verbo agalizzare (/a·ga·liẓ·ẓà·re/), può esprimere, tra gli altri, i seguenti valori:

  • Assertivo.

Afferrando il bicchiere, il bevente esclamerà ad alta voce: “Agali!”, immediatamente prima d’ingoiare il liquido in un sol sorso. L’intonazione potrà essere sia gioiosa e benaugurale (in quel caso il calice sarà innalzato sopra alla spalla in un tipico gesto di dedica “alla salute”), che triste (il bicchiere sarà mantenuto più adiacente al corpo e il gesto sarà meno plateale, a indicare lo stato d’animo proprio del “beviamoci sopra”). Ricorrente è anche una terza più sofisticata intonazione, atta a sancire la fine di un discorso: il bicchiere sarà orientato in direzione dell’interlocutore ad altezza occhi e il tono dell’Agali sarà secco e risoluto.

  • Esortativo.

L’Agali assume la vena dell’invito a finire insieme l’ultimissimo goccio. Normalmente, la declaratio avviene a bicchiere posato e soci di bevuta comodamente seduti.

  • Auto Interrogativo.

Può capitare, soprattutto in luogo di una copiosa libagione o di una degustazione assortita, che il bevitore, nell’impellenza di svuotare il calice così da fare spazio al nuovo vino/liquore in arrivo, si trovi a domandare a se stesso, talvolta mentalmente, ma più facilmente ad alta voce in virtù del tasso alcolico accumulato (in questo secondo caso coinvolgendo loro malgrado i commensali): “Agali?”, oppure “cosa faccio, Agali?”. Dilemma che il bevitore risolverà trangugiando velocemente e di soppiatto il contenuto. L’Agali con punto interrogativo può tradire talvolta anche timore. Si immagini di ricevere in offerta un bicchiere colmo fino all’orlo di filu ferru da novanta gradi fatto in casa per mano di un orgoglioso pastore sardo che non può essere offeso in alcun modo: molto facilmente il parmigiano si ritroverà a fissare con fugace smarrimento il mescitore, per poi mormorare un flebile “Agali?”, ovvero “devo davvero calarmi quel bagaglio lì in un solo ficcone?”

 

Quando proposto al bevente dal suo diretto interlocutore, l’Agali può esprimere, tra gli altri, i seguenti valori:

  • Persuasivo.

“Agali, dai!” è una forma di richiamo al dovere da parte di qualcuno esasperato dalla lentezza del bevente, ma anche il tiro mancino di chi, sorprendendo il medesimo già avanti coi lavori, tentasse di convincerlo a tracannare l’ultimo sorso di distillato per il sadico piacere di vederlo barcollare, fatti che accadono spesso a fine serata.

  • Rituale

“Ragazzi, Agali eh!” è il vivace grido di richiamo del barman al rito degli shottini, che si consuma perlopiù in gruppo, facendo precedere l’ingollata da un rumoroso “ciòcco” del bicchiere sul bancone. Molto usata anche la forma “Agalizziamo?”, una sorta di invito a condividere un Agali liturgico.

  • Recensorio

Tutt’altro che raramente, si può utilizzare la derivazione verbale all’infinito per esprimere sia apprezzamento (“buonissimo questo vino, ti viene da agalizzarlo!”) che disprezzo (“fa cagare questa roba, meglio agalizzarla in fretta”) verso una bevanda.

  • Investigativo

Sempre utilizzando la forma derivata verbale, riscontrando nel bevente uno stato di incertezza di fronte al bicchiere, il suo interlocutore potrebbe domandargli: “lo agalizzi?”, oppure, in modo più introspettivo, “stai pensando di agalizzarlo?”

 

Origini e storia.

L’espressione, utilizzata abitualmente in modo trasversale da tutte le classi sociali dell’etnia parmense, trova riferimenti nel nome proprio di origine greca Agali che significa “dolce sorpresa” o “augurio di gioia”. Interessante anche la possibile connessione al termine ebraico agil che significa “padrone di se stesso” o “persona risoluta”. In ogni caso, entrambe le piste trovano una correlazione plausibile con i fatti narrati dal Serventi secondo il quale, intorno alla metà degli Ottanta del secolo scorso, un gruppo di giovanotti della Parma Bene, tra i quali anch’egli stesso, mentre era di ritorno da una vacanza su un’isola del Mediterraneo meridionale, si intrattenne in un lungo bagordo sul ponte della nave in compagnia di un mercante turco o greco. L’uomo, divertito dal modo di tracannare i bicchierini di acquavite dei giovani rampolli, si mise a celebrare ogni singola ingollata con l’esclamazione Agali, accompagnandola con uno scrosciante applauso. Per l’esattezza, il Serventi riporta che l’espressione corretta fosse formata da un sintagma indivisibile con il sostantivo “Papa” o “Papà”, quindi nella sua interezza: “Agali Papa!”

Rientrati a Parma, quei ragazzotti amanti della bella vita e mattatori delle feste mondane trasformarono l’Agali (rimuovendo però il “papa”) nel tormentone degli aperitivi estivi e delle bevute in discoteca; fu così che, in pochissimo tempo, l’interiezione divenne così familiare che chiunque in città cominciò ad usarla assiduamente, senza conoscerne l’origine e il significato ma al punto da consolidarla e tramandarla come singolarità accreditata del lessico conviviale parmigiano.

Luca Farinotti

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