Tutta la Sardegna in una sola tavolozza

Costa Smeralda: cale, calette tra le più belle al mondo. Acque luminose d’azzurrità e natura palpitante, ancorché stuprata dai posticci presepi laici di Porto Rotondo/Cervo e via dicendo: recinti elettivi della tamarra riccaggine che, con tutto ciò ch’è noumenicamente sardo, pochissimo c’azzeccano. Così come gli smodati centri commerciali, gli sfolgoranti autosaloni ad accecare la notte, il traffico milanese e gli show room bresciani che accerchiano, asfissiandone l’istinto primordiale, Olbia. L’iride al centro dell’occhio nel grande triangolo delle maschere prova a brillare, benché arrossata d’ossimori. Incontri Kebab. Troppi. E catene di cibo spazzatura. A volontà. La via maestra, disseminata di vetrine glamour e localini fatti con lo stampo, ha una sua eleganza omologata, lievemente raggelante. Fuggendola e infilandoti in un vicoletto, ti troverai in pochi passi da Diciosas, mescita e giacimenti gastronomici autentici. Da assaggiare, in primis, il prosciutto di Seulo “Su Mannali”, da suini semibradi allevati a orzo, grani e ghiande. È affettato a coltello, a piccole scaglie, come un jamón ibérico. Giustamente, perché il magro è (piacevolmente) tenace. Il grasso è profumato, dolce, vellutato: verrebbe da dire che davvero rammenta un “bellota”, ma sareste ingrati. È invece Sardegna pienamente espressa, si percepisce, grazie a una tecnica in evoluzione, finalmente governata (un inchino ad Antonio Moi, dunque). Buonissima la salsiccia di Oliena di “Sapores Sardos”: compatta, dolce, aromatica. De “I Salis” (Ardara) assaggiamo una pancetta cotta a bassa temperatura, affettata sottilmente, angelica nel sapore, dalla grana equilibratissima. Sbalorditiva la Mirta Beella, una mortadella artigianale di pecora, di nuovo soave, con bacche di mirto disidratate a punteggiarla ed esaltarne la masticazione. Infine, il lardo al mirto di Dorgali (“Larderia Palitta”): fragranza ed effluvio di macchia, riportata in tutto il suo caleidoscopico splendore. Questo ci è piaciuto, di Diciosas, l’attenzione alle peculiarità e all’evolversi del patrimonio gastronomico, nonché la capacità di comporre e servire in un’unica tavolozza prodotti diversi ma coniugati in un unico cuore pulsante, ovvero l’orgoglioso saper fare sardo. Una rivendicazione questo angolo di ristoro nella pupilla di Olbia che presenta anche una cantina di respiro, ricerca genuina e profondità: un sollievo. E allora, tra i tanti vignaioli stuzzicanti (leggiamo molti amici in carta…), ci lasciamo tentare da un Bianco 2022 Barbagia IGT di Mamoiada “Vikevike” (da vitigno autoctono Granazza). Vino naturale dalle suggestioni vive e cangianti: di carattere un poco scontroso inizialmente, si dischiude presto su una terrazza ariosa di fiori e, soprattutto, erbe aromatiche, pur mantenendo un asse centrale intransigente al naso. In bocca è sapido, vagamente idrocarburico, fresco, d’acidità piacevolissima, capace di accompagnare e “asciugare” con disinvoltura i grassi dei salumi. Netto e dissetante il tono di pompelmo rosa. Definitivamente riconciliati, ci siamo voluti tenere la voglia di assaggiare i formaggi, con la promessa di tornare presto e riabbracciare Olbia e i suoi contrasti.

Luca Farinotti

Diciosas, Dorgali, I Salis, Mamoiada, Olbia, Oliena, Seulo, Su Mannali

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